Senofonte poliedrico
Uno dei più importanti poligrafi dell'antichità, uno scrittore famoso per la sua personalità poliedrica e imprevedibile
INDICE:
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Vita
Contesto storico
Opere
Approfondimenti
VITA
In lui si concentrano molti elementi contrastanti che delineano una personalità piuttosto complessa e difficile da comprendere con certezza; infatti, Senofonte fu ateniese e al tempo stesso un sostenitore di Sparta, è considerato un uomo di azione e di cultura, un avventuriero militare e un amante della tranquilla vita di campagna accanto alla moglie e ai figli. Tutti questi caratteri contrastanti, però, non appaiono più incomprensibili se si considera che essi non sono altro che il riflesso di un'epoca di trapasso e pertanto ricca di contraddizioni.
Senofonte nacque ad Atene verso il 430 a. C. da una famiglia di origine equestre, che quindi era molto ricca e aristocratica. Gli anni della sua formazione, che per noi risultano ignoti a causa della mancanza di notizie, furono indubbiamente segnati dall'incontro con Socrate, il quale diventò per Senofonte, così come per la maggior parte dei giovani ateniesi, un vero e proprio idolo e una guida da ascoltare, da seguire e da cui ricavare importanti insegnamenti di vita. Senofonte dimostrò subito di avere un carattere inquieto e uno spirito aristocratico e sognava, come gli antichi eroi, avventure in terre lontane e gloriose imprese di guerra.
L'evento centrale della sua vita fu la partecipazione, nel 401 a. C., alla spedizione militare organizzata da Ciro il Giovane, un potente satrapo dell'Asia Minore, contro il fratello Artaserse II, re di Persia. Quando un suo amico, il beota Prosseno, lo esortò ad arruolarsi come soldato mercenario nell'esercito capeggiato da Ciro, Senofonte accettò senza esitazione; questa fu la grande occasione della sua vita. Infatti, la spedizione fallì e Ciro morì sul campo di battaglia, a Cunassa. Dopo la morte di Ciro, Senofonte fu prescelto per guidare la ritirata dei diecimila soldati mercenari greci e compì memorabili imprese, al termine delle quali, riuscì a consegnare il contingente agli spartani, nella primavera del 399 a. C. Inoltre, Senofonte compì grandi imprese in Tracia, alleandosi all'esercito di Seute, il re degli Odrisi, si consegnò alla spartano Tibrone e strinse una profonda amicizia con il re spartano Agesilao, il quale era in lotta con Farnabazo.
Combattendo accanto a Ciro, che era un grande sostenitore degli Spartani, Senofonte si era avvicinato molto a Sparta; il suo atteggiamento filospartano diventò ancora più evidente quando egli decise di unirsi alle milizie di Agesilao che stavano combattendo in Asia Minore, e ancora di più quando, alleandosi con il re spartano, partecipò con lui alla battaglia di Coronea, avvenuta nel 394 a. C., impugnando le armi contro Tebe e contro Atene, la quale, per questo motivo, lo bandì dalla città. Allora, esiliato dalla sua patria, Senofonte non combatté più e si ritirò a vita privata con la moglie e con i suoi figli, Grillo e Diodoro, a Scillunte, vicino Olimpia, dove ricevette in dono dagli Spartani un podere, come risarcimento dei beni confiscati e come ricompensa dei suoi servigi. In questo podere, Senofonte trascorse vent'anni a fare il proprietario terriero e a dedicarsi alle occupazioni agricole, alla caccia, alla raccolta e alle cure della famiglia. Sicuramente, in quel periodo, egli cominciò a scrivere le sue memorie e, come emerge dall'affettuosa rievocazione del luogo in occasione della festa annuale in onore di Artemide, quelli furono anni felici. Dopo la sconfitta degli Spartani nella battaglia di Leuttra, avvenuta nel 371 a. C., Senofonte fu costretto ad abbandonare Scillunte e a rifugiarsi prima a Lepreo e poi a Corinto.
L'aumentare della potenza di Tebe spinse Atene a riconciliarsi con Sparta e quindi, a revocare il decreto dell'esilio di Senofonte, il quale, però, decise di non tornare più nella sua patria. I suoi figli, invece, tornarono ad Atene e uno dei due, Grillo, morì nella battaglia di Mantinea, conclusasi nel 362 a. C., combattendo valorosamente per la patria. Dopo la morte del figlio Grillo, Senofonte si riavvicinò ad Atene, come testimonia la sua opera Poroi (“Entrate”), scritta dopo il 355 a. C., nella quale egli elargisce suggerimenti concreti per risanare l'economia ateniese. Senofonte morì dopo il 354 a. C., all'età di novant'anni.
CONTESTO STORICO DI SENOFONTE (I^ parte)
Il contesto storico in cui visse Senofonte è quello caratterizzato dalla guerra del Peloponneso e dall'egemonia tebana
L'origine fondamentale della guerra peloponnesiaca risale all'imperialismo ateniese, il quale scatenò contro di sé la coalizione, capeggiata da Sparta, di tutte le città elleniche che non erano disposte a subire l'influenza della capitale dell'Attica. Questa lotta durò quasi ininterrottamente dal 431 a. C. al 404 a. C. e, al contrario di quanto potrebbe far credere la sua denominazione, non coinvolse soltanto Atene e Sparta, ma tutte le città del mondo greco, diventando così, una guerra panellenica. Infatti, questo conflitto riguardò la Grecia, le coste dell'Asia Minore, l'Ellesponto, la Sicilia, la penisola Calcidica, l'isola di Corcira. Questa guerra non fu solo la lotta fra le due grandi antagoniste, Atene e Sparta, che guidavano rispettivamente la Lega di Delo e la Simmachia peloponnesiaca, ma si configurò anche come un conflitto, all'interno delle poleis, fra democratici filoateniesi e oligarchici filospartani.
La pace trentennale stipulata nel 445 a. C. fra Atene e Sparta, fu interrotta nel 431 a. C., anno in cui iniziò la cosiddetta guerra del Peloponneso. Questo conflitto, dunque, fu provocato innanzitutto dall'imperialismo ateniese, il quale aveva causato il risentimento delle città subalterne appartenenti alla Lega di Delo, rendendole sempre più intolleranti nei confronti della supremazia della capitale. Inoltre, le città non appartenenti alla Lega, temevano che Atene volesse estendere ulteriormente i suoi domini e iniziarono a odiare la sua supremazia marittima. Atene, a sua volta, temeva che le città della Simmachia, approfittando dei suoi contrasti con le poleis confederate, potessero scatenare una ribellione generale contro il suo dominio. In questo clima di tensione, Pericle si convinse che la guerra era ormai inevitabile e ritenne opportuno affrontarla il più presto possibile, prima che la Lega di Delo subisse delle defezioni da parte delle città soggette.
Con il consenso dell'Ecclesia, egli iniziò contro Corinto e Megara, una serie di provocazioni, che culminò nel divieto ai Megaresi, di accedere ai porti di Atene e dei suoi alleati; questa proibizione avrebbe provocato la completa rovina a Megara, la cui economia era basata solo sulle proprie industrie, sui commerci e sul grano importato dal Ponte Eusino di Atene. Le città alleate con Sparta, contro la quale era rivolta infine la lotta di Pericle, chiesero ai Lacedemoni di convocare l'assemblea generale della Simmachia, durante la quale, esse ottennero, nel 431 a. C., che si dichiarasse guerra per rispondere alle offese di Atene.
Nei primi due anni di guerra, i Lacedemoni invasero ripetutamente l'Attica, devastandola. Nello stesso periodo, gli Ateniesi devastarono le coste del Peloponneso, organizzarono una spedizione militare nella Megaride ed espugnarono, nella penisola Calcidica, la ribelle città di Potidea, che pur essendo alleata con Atene, si era schierata dalla parte dei nemici. Nel 430 a. C., Atene fu colpita da una terribile pestilenza, a causa della quale morì Pericle. Dopo la sua morte, i nuovi capi della polis furono Cleone, per i democratici, i quali erano favorevoli alla guerra a oltranza, e Nicia per i conservatori, che invece preferivano stipulare un trattato di pace con Sparta.
Dal 428 a. C., il conflitto assunse un nuovo significato politico: esso non fu più solo la lotta fra le due Leghe che facevano capo ad Atene e Sparta, ma divenne, all'interno delle poleis, una spietata guerra civile fra i partiti democratici, filoateniesi, e i partiti oligarchici, filospartani. A Mitilene, nell'isola di Lesbo, gli oligarchici imposero l'abbandono della Lega di Delo e il passaggio alla Simmachia peloponnesiaca, ma, nel 427 a. C., gli Ateniesi intervennero con la loro flotta, conquistarono la città e uccisero i responsabili del tradimento. Nello stesso anno, gli oligarchici fecero un tentativo analogo nell'isola di Corcira, ma i democratici vinsero grazie all'aiuto di Atene.
Nel 426 a. C., gli Ateniesi conquistarono la baia di Pilo, ma negli anni successivi, gli Spartani cominciarono a prendere il sopravvento, quando il generale Brasida, convinto che Atene non potesse essere colpita definitivamente nell'Attica, condusse una spedizione militare nella penisola Calcidica, la quale fra il 424 a. C. il 423 a. C., fu completamente conquistata dagli Spartani. Ad Atene, data la situazione sfavorevole, cominciava a prevalere il partito pacifista guidato da Nicia. Nel 422 a. C., in uno scontro presso Anfipoli, morirono Cleone e Brasida e la scomparsa dei due grandi sostenitori della guerra facilitò le trattative di pace, che si conclusero, nel 421 a. C., con la pace di Nicia, così chiamata dal nome del capo dei conservatori. Le condizioni di pace stabilivano che, tranne alcune eccezioni, gli Spartani e gli Ateniesi si restituissero reciprocamente i territori conquistati, ma le città della penisola Calcidica si rifiutarono di consegnarsi ad Atene e quest'ultima mantenne in suo possesso Pilo e l'isola di Citera.
Dopo la morte di Cleone, fra i sostenitori della guerra spiccò soprattutto Alcibiade. Nel 416 a. C., egli riuscì a convincere l'Ecclesia ad accogliere le richieste di aiuto che giungevano ad Atene, da parte dell'alleata Segesta, la quale era minacciata da Selinunte e da Siracusa; così, Alcibiade interrompendo la pace pattuita da Nicia, organizzò, nel 415 a. C., una spedizione in Sicilia, comandata da lui, da Lamaco e da Nicia. Alcibiade, però, dovette abbandonare presto la spedizione da lui stesso organizzata, in quanto fu accusato di aver commesso un'azione sacrilega, ossia di aver mutilato le Erme, le statuette sacre al dio Ermes, e fu costretto a tornare in patria; riuscì, però, a rifugiarsi presso gli Spartani, ai quali elargì consigli a danno di Atene. I giudici ateniesi lo condannarono in contumacia alla pena capitale e alla confisca dei beni.
Nel 414 a. C., gli Ateniesi stavano per espugnare Siracusa, ma giunsero alcune truppe inviate da Sparta e da Corinto e guidate dal lacedemone Gilippo, che riuscirono a ribaltare la situazione; nel 413 a. C., le triremi degli Ateniesi che occupavano il porto di Siracusa, furono bloccate dalla flotta nemica. Dopo alcuni successi iniziali, gli Ateniesi furono definitivamente sconfitti e costretti alla resa; la disastrosa spedizione in Sicilia segnò la fine virtuale della polis e del suo dominio. Nel 406 a. C., gli Ateniesi inviarono in Oriente centodieci triremi che inflissero una pesante sconfitta agli avversari, nei pressi delle isole Arginuse, a sud di Lesbo; questa fu l'ultima vittoria degli Ateniesi.
Nel 405 a. C., infatti, si verificò un episodio che rese impossibile la vittoria finale degli ateniesi: i Persiani si allearono con gli Spartani. Ciro, il figlio del Gran Re Dario II, fornì al comandante spartano Lisandro, i mezzi necessari per ricostruire, dopo la battaglia delle Arginuse, una flotta formata da duecento triremi, con la quale gli Spartani, nel 404 a. C., sconfissero definitivamente gli Ateniesi ad Egospotami. Subito dopo la resa di Atene, Lisandro impose alla città, la formazione di un governo composto da trenta membri, appartenenti al partito oligarchico, i quali, poiché si comportarono in maniera dispotica e assolutistica, furono denominati Trenta tiranni. Durante il governo dei Trenta, si verificarono spesso condanne arbitrarie, confische di beni, stragi, che spinsero molti cittadini a emigrare nelle poleis vicine, per sfuggire alle persecuzioni. Ma questo governo fu di breve durata; infatti, molti cittadini che si erano rifugiati a Tebe, guidati da Trasibulo, tornarono ad Atene e, grazie all'appoggio del popolo, soppiantarono il regime dei Trenta tiranni con la restaurazione della democrazia.
Mentre nella fase finale della guerra del Peloponneso Sparta aveva deciso di accettare l'aiuto determinante dei Persiani, dopo aver ottenuto la vittoria, il governo spartano si rese conto che sarebbe stato dannoso riaprire il mondo greco all'influenza persiana. Allora, gli Spartani non esitarono ad appoggiare Ciro nel suo tentativo di usurpare il trono al fratello maggiore Artaserse, succeduto nel 404 a. C., al padre Dario II.
CONTESTO STORICO DI SENOFONTE (II^ parte)
dopo la morte di Ciro, gli Spartani accolsero le richieste di aiuto delle poleis dell'Asia Minore che erano soggette al dominio persiano
L'impresa di Ciro fallì e, nel 401 a. C., egli morì sul campo di battaglia; e, gli Spartani liberarono gran parte delle coste anatoliche, costringendo Artaserse ad accettare una tregua nel 398 a. C. il nuovo sovrano persiano, però, fu più fortunato dei suoi predecessori e riuscì a riprendere il sopravvento, stringendo alleanza con le secolari nemiche di Sparta: Atene, Corinto, Argo e Tebe.
Il governo spartano dovette richiamare in Grecia le truppe inviate in Asia Minore, mentre Atene, dopo aver ricostruito le Lunghe mura grazie ai finanziamenti del Gran Re, cominciava a intravedere la possibilità di riaffermare la sua supremazia come potenza navale.
La ripresa economica e politica di Atene, però, indusse Artaserse a riavvicinarsi a Sparta, ristabilendo, così, un equilibrio che andava esclusivamente a proprio vantaggio. Dunque, alleandosi alternativamente con le opposte coalizioni, il re persiano si impose a tutte le città come unico vero vincitore del conflitto e, nel 386 a. C., fece comunicare ai delegati di Sparta, Atene, Tebe, Argo e Corinto, le proprie decisioni: le città greche dell'Asia Minore dovevano rimanere in suo dominio, le altre città della Grecia sarebbero rimaste indipendenti, ovvero svincolate da ogni legame di alleanza.
Con questa imposizione, denominata Pace del Re, il monarca dimostrava di considerarsi l'arbitro assoluto delle questioni riguardanti il mare Egeo e il mondo ellenico, ma in realtà delegava Sparta come esecutrice della sua volontà nei confronti delle altre poleis greche, in quanto, mentre gli ordini da lui divulgati avrebbero provocato lo scioglimento di tutte le leghe, la Simmachia peloponnesiaca, invece, rimase intatta e gli Spartani poterono riaffermare pienamente il proprio dominio sulla Grecia grazie anche all'appoggio dei Persiani.
Nel 379 a. C., i profughi persiani appartenenti al partito democratico e capeggiati dai generali Pelopida ed Epaminonda, si allearono con il governo ateniese e riuscirono a rientrare in patria, sconfiggendo il governo oligarchico e la guarnigione spartana che lo sosteneva. Gli Spartani reagirono con la guerra, ma Tebe, grazie all'alleanza di Atene che proprio in quel periodo stava ricostituendo intorno a sé una nuova confederazione marittima ispirata a principi molto più liberali rispetto a quelli che avevano provocato la rottura della Lega di Delo, nel 378 a. C., vide accrescere la propria potenza. Pelopida divenne il promotore della Lega beotica e in così, la situazione degli Spartani, i quali furono più volte sconfitti sulla terra dai Tebani e dai loro alleati, e sul mare dagli Ateniesi, andò progressivamente peggiorando.
Nel 371 a. C., allora, gli Spartani, sicuri di ottenere un facile successo, inviarono in Beozia un forte esercito di opliti, ma non riuscirono a conseguire la vittoria sperata. Infatti, Epaminonda aveva organizzato un'innovazione militare che avrebbe sorpreso il tradizionale ordinamento oplitico degli Spartani; questa innovazione militare escogitata dal generale tebano consisteva sostanzialmente in uno straordinario rafforzamento dell'ala sinistra della falange, nella quale veniva collocato il cosiddetto Battaglione sacro, costituito da trecento combattenti scelti in base alle doti fisiche e morali. Nel 371 a. C., gli Spartani sperimentarono a Leuttra l'eccellenza della falange tebana; il re spartano Cleombroto e molti soldati lacedemoni persero la vita sul campo di battaglia, e in seguito a questa dura sconfitta subita dagli Spartani, si infrangeva il mito della loro invincibilità nei combattimenti terrestri.
Le conseguenze della sconfitta spartana avvenuta nella battaglia di Leuttra non tardarono a manifestarsi nel Peloponneso, che da lungo tempo era soggetto al dominio lacedemone; l'Arcadia, la Messenia e l'Elide furono teatro di una violenta ribellione contro gli Spartani e contro gli oligarchi da loro protetti. Epaminonda giunse nel Peloponneso nel 369 a. C., invase la Laconia, fondò la Lega arcadica e aiutò i Messeni a rivendicare la propria libertà. Le ambizioni dei Tebani, però, non si fermarono al Peloponneso e si estesero a tutte le regioni della Grecia, suscitando, così, la diffidenza di Atene, la quale decise di allearsi con Sparta.
Tebe intervenne nelle contese dinastiche che si stavano verificando nella Macedonia e, per assicurarsi la fedeltà di quella regione, si fece consegnare alcuni ostaggi appartenenti alle famiglie nobili. Pelopida fu imprigionato dai Tessali, ma venne liberato, nel 367 a. C., da Epaminonda, che impose alla Tessaglia di rompere l'alleanza stretta con Atene e di firmare la pace con Tebe. Nello stesso anno, Epaminonda dovette intervenite per la seconda volta nel Peloponneso, dove la situazione politica era molto confusionaria; fra Sparta e la Messenia si stava verificando una continua guerriglia devastatrice e anche tra le poleis che costituivano le Lega arcadica, avvenivano dei dissidi. Allora, il condottiero tebano tentò invano di riconciliare le varie fazioni discordi.
Come Sparta aveva infranto l'imperialismo ateniese dopo la guerra del Peloponneso, così Tebe era riuscita a mettere in crisi l'egemonia spartana, ma in entrambi i casi non era subentrato un adeguato processo di ricostruzione; infatti, l'imperialismo spartano si era dimostrato peggiore di quello ateniese, e l'egemonia tebana risultava peggiore di quella spartana, perché non riusciva a garantire l'ordine e la pace di cui tutta la Grecia aveva bisogno. Successivamente, Epaminonda capì che, affinché Tebe acquisisse il primato sul mondo greco e riuscisse a contrastare la rivalità di Atene, era necessario disporre di una flotta adeguata alle esigenze dell'esercito tebano; perciò, egli fece costruire cento triremi, con le quali tentò di impadronirsi delle vie di comunicazione con il Mar Nero, e riuscì ad occupare Bisanzio nel 364 a. C. nello stesso anno, Pelopida guidò una nuova spedizione contro la Tessaglia e dopo aver conseguito un'importante vittoria presso il passo di Cinocefale, perse la vita durante un combattimento, ma l'impresa da lui cominciata, venne ultimata l'anno seguente dai beotarchi, ossia dai comandanti della Lega beotica.
Nonostante i numerosi successi, l'egemonia tebana non era solida, perché non si basava su profonde ragioni oggettive di ordine economico, politico e culturale, ma richiedeva continui interventi militari. A Mantinea, nel 362 a. C., si svolse lo scontro decisivo fra la Lega beotica ed la coalizione che faceva capo ad Atene e a Sparta; la genialità militare di Epaminonda stava per ottenere nuovamente un grande successo, ma il condottiero tebano, combattendo in prima linea nel battaglione sacro, morì colpito da un giavellotto. La morte di Epaminonda segnò la fine della breve ed effimera egemonia tebana.
OPERE DI SENOFONTE
Descrizione delle opere più importanti di Senofonte. Le opere storiche, tecniche e socratiche, tutte in prosa
Di Senofonte ci restano quattordici opere in prosa, che generalmente si dividono in:
•storiche: Anabasi in sette libri; Elleniche in sette libri; Agesilao; Costituzione degli Spartani; Ierone; Ciropedia in otto libri;
•tecniche: Ippica; Ipparchico; Cinegetico; Poroi;
•socratiche: Apologia; Simposio; Memorabili in quattro libri; Economico.
Le opere senofontee sono numerose e affrontano svariate tematiche: da Socrate alle memorie autobiografiche, dalla storia greca a quella leggendaria dell'antica Persia, dall'agricoltura all'equitazione e alla caccia.
Tra tutte le opere di Senofonte, l'Anabasi è indubbiamente la migliore; quest'opera, il cui titolo significa “salita” o più precisamente “marcia verso l'interno”, narra la spedizione di Ciro, un potente satrapo dell'Asia Minore, contro il Gran Re di Persia Artaserse II, ovvero suo fratello. L'esercito di Ciro comprendeva diecimila soldati mercenari provenienti da varie parti della Grecia e lo stesso Senofonte, sollecitato da un amico, decise di arruolarsi a questo contingente. Per evitare defezioni, Ciro nascose inizialmente le sue reali intenzioni e fece credere ai suoi soldati che si trattava di un'operazione di polizia contro alcune tribù barbare che si erano ribellate. Questo contingente, formato oltre che dalle truppe, anche da donne, da schiavi, da animali, da carri, da bagagli e da vettovaglie, partì da Sardi nella primavera del 401 a. C. e, dopo aver attraversato la penisola anatolica, penetrò nell'Asia centrale. A Cunassa, una cittadina situata sulle rive del fiume Eufrate, le truppe di Ciro si scontrarono con l'esercito di Artaserse; Ciro fu sconfitto e morì sul campo di battaglia; dopo la sua morte, i comandanti greci furono attirati in un agguato e vennero massacrati. Durante quel terribile evento, Senofonte rincuorò i mercenari greci, li esortò a non arrendersi e mostrò loro le tattiche della ritirata. Allora, i diecimila soldati ripresero la marcia sotto la guida del nuovo capo, dirigendosi verso nord. Essi dovettero attraversare deserti polverosi, monti innevati, furono costretti a soffrire la fame e il freddo, a difendersi dagli attacchi e dalle razzie degli indigeni, dovettero risolvere i problemi derivanti da una vita piuttosto precaria e, dopo aver affrontato tutte queste avversità, giunsero finalmente a Trapezunte, una località situata sul Mar Nero.
La narrazione contenuta nell'Anabasi si svolge in due tempi non omogenei; inizialmente predomina la figura solitaria di Ciro, che emerge in tutto il primo libro; invece, negli altri sei libri, l'attenzione si concentra sull'esercito che deve affrontare i problemi relativi alla ritirata. Il valore paradigmatico della figura di Ciro emerge indubbiamente dal ritratto del satrapo che viene tracciato subito dopo la sua eroica morte sul campo di battaglia. Senofonte, in quest'opera, evidenzia che non è importante che Ciro sia morto e non sia riuscito a portare a termine la sua impresa contro il fratello Artaserse, ma ciò che importa è che egli abbia saputo, lottando coraggiosamente, ritagliarsi un proprio spazio nell'ambito della massa anonima, per proporsi all'ammirazione di tutti. Senofonte riprende dunque la famosa concezione omerica secondo la quale la morte di un eroe non riduce la gloria raggiunta, ma contribuisce a esaltarla e a elogiarla; a questo proposito, infatti, Senofonte fa notare che anche Ettore e Achille sono morti, ma non per questo sono stati dimenticati, anzi sono rimasti impressi, attraverso i secoli, nella memoria dei posteri, i quali, anche a distanza di tempo, provano ancora una grande ammirazione nei loro confronti. Dall' Anabasi, emerge anche l'animo “nuovo” di Senofonte, il quale sceglie come esempio della più elevata kalokagathìa un persiano, superando così, non solo la rigida barriera che separava i Greci dai barbari, ma anche gli angusti confini dell'antica aretē militare. Ciro, infatti, non è soltanto un guerriero abile e valoroso, ma è anche un capo saggio e temperante, giusto e severo, un amico leale, fedele e generoso. Senofonte, dunque, considerando questi elementi, si accorge che il popolo persiano, che da molti secoli era un acerrimo nemico dei Greci, dal punto di vista della sua paideia nobiliare, presenta molte analogie con la visione antica delle genti greche e con il loro ideale di kalokagathìa; inoltre, Senofonte è riuscito a individuare le basi del programma di fusione fra i Greci e i barbari, che sarà poi più ampiamente sviluppato da Alessandro Magno, di cui Ciro diventa il precursore. Sia Ciro che Alessandro Magno possono essere paragonati agli eroi omerici, in quanto, come questi ultimi, muoiono entrambi lasciando alle generazioni successive, un ricordo indelebile delle loro imprese; inoltre, sia il satrapo persiano che il sovrano macedone incarnano il paradigma dell'uomo kalòs kài agathòs, ossia “bello e buono”, Alessandro, nella sua leggendaria avventura della conquista dell'Oriente ricalca l'itinerario di Ciro, anche se con un esito più fortunato. Arriano di Nicomedia, vissuto nel II secolo d. C., dando alla sua opera riguardante le imprese di Alessandro il titolo Anabasi, ha mostrato di aver individuato perfettamente le analogie che legavano i due condottieri.
Nell'Anabasi, pubblicata sotto il nome di Temistogene di Siracusa, l'autobiografia è dissimulata con l'uso, che diventerà poi tipicamente cesariano, della terza persona singolare. Il primo libro contiene gli appunti del viaggio da Sardi a Cunassa (dal 9 marzo al 3 settembre 401 a. C.), con elementi paesaggistici, descrizioni di alcune figure, fra cui spicca principalmente quella di Clearco, e spessore psicologico dei soldati. Le cause della guerra fra Ciro e Artaserse sono appena accennate; invece, la battaglia risolutiva di Cumassa è descritta con chiarezza e precisione, per quanto riguarda la precisazione degli schieramenti e delle fasi dell'azione, e la vivace rappresentazione di Ciro. Dal secondo libro inizia il resoconto del viaggio di ritorno, durato dal 4 settembre 401 a. C. al 18 maggio 400 a. C.; Senofonte espone tutte le difficoltà provocate dalle perfidia dei barbari, dalla natura inospitale, dagli assalti dei nemici, dalle discordie, dalla fame e dalla stanchezza. L'agguato di Tissaferne che fa trucidare i capi greci che guidavano la spedizione militare, fornisce l'occasione per tracciare precisi profili delle vittime. Dal terzo libro in poi, Senofonte sottolinea i propri meriti di astuzia, di perizia, di prestigio, di umanità e rielabora, affidandosi anche all'immaginazione, eloquenti discorsi.
Nei libri che narrano la ritirata dei diecimila soldati, ossia la katàbasis (“discesa” o “marcia verso il mare”), le tematiche dell' aretē militare, della paideia e della kalokagathìa costituiscono il tessuto connettivo dell'azione, ma ormai, vengono posti in primo piano i problemi e i vari episodi che si verificano durante la vita quotidiana. Senofonte non tralascia nulla, ma osserva tutto, sia gli elementi importanti che quelli marginali, con grande interesse e curiosità. Vengono descritti le operazioni militari e i momenti di riposo e di festa; si riproducono i discorsi dei comandanti, si narrano i gesti di altruismo, i sentimenti di gioia, di tristezza, di ansia e di paura, si descrivono dettagliatamente i monti, le pianure, le albe e i tramonti. L'avventura dei diecimila mercenari, inserita in questo scenario naturale che funge da cornice, perde ogni drammaticità e acquista una propria piacevolezza. È famosa la descrizione di una sosta del contingente guidato da Ciro, nei villaggi dell'Armenia, situati oltre le sorgenti del Tigri, dove i soldati vengono sorpresi da un'abbondante nevicata. Questa descrizione può essere paragonata a un quadro di pittura fiamminga, ricco di colori, popolato di minuscole figure umane e caratterizzato dai gesti e dall'espressione dei volti. Inizialmente emergono i soldati che indugiano nel sonno, assaporando il calore sotto la coltre di neve; poi, sentendo i colpi dell'accetta del comandante che spacca la legna, essi si alzano, accendono il fuoco e, con grida di gioia, si dirigono verso i ripari confortevoli e il cibo. Nella descrizione di questa scena di vita quotidiana, non c'è alcun dramma, ma è presente il gusto dell'avventura e della rievocazione di momenti irripetibili. Oltre a questa vivida descrizione ambientale, si ricorda anche il famosissimo passo della scoperta del mare dall'alto del monte Teche. L'originalità dell'Anabasi consiste nell'essere un documento di vita piuttosto che un'interpretazione della vita, un diario piuttosto che una cronaca storica.
Di carattere più propriamente storico e autobiografico sono le Elleniche, un'opera che narra gli eventi della storia greca compresi tra il 411 a. C., l'anno in cui Tucidide aveva interrotto le sue Storie, e il 362 a. C., l'anno in cui avvenne la battaglia di Mantinea. Quest'opera è divisa in sette libri; nei primi due libri predomina il modello tucidideo, riscontrabile sia nell'utilizzo del criterio cronologico stagionale, in base al quale ad ogni anno citato nell'opera corrispondono gli eventi storici che in esso si sono verificati, sia nel distacco impersonale da parte dell'autore; inoltre, nel primo e nel secondo libro delle Elleniche, la materia trattata è organizzata intorno al tema dell'egemonia di Atene, proprio come avviene nell'opera tucididea. Negli altri cinque libri, lo svolgimento dei fatti assume un andamento più libero e ruota intorno a un nuovo centro, ovvero la città di Sparta, della quale l'autore intende tracciare l'ascesa e il declino. Le Elleniche presentano un'evidente frattura fra lo stile dei primi due libri, i quali almeno apparentemente sono più simili all'opera di Tucidide, e quello degli altri cinque, che sono più affini all'Anabasi, ma meno curati e precisi. Anche le simpatie politiche di Senofonte sono piuttosto oscillanti, anche se prevale una certa propensione per Sparta. Le Elleniche risultano prive di qualunque pregio storiografico; la superstizione e il moralismo intervengono spesso per spiegare in maniera semplicistica, alcuni fatti piuttosto complessi. L'autore mostra di possedere una certa competenza militare, ma cerca di evitare ogni interpretazione politica. Ci sono, però, alcuni passi dell'opera senofontea che spiccano per le qualità narrative dell'autore; ricordiamo, ad esempio, la descrizione dell'atmosfera di angoscia che si crea quando viene annunciata la sconfitta subita dagli Ateniesi a Egospotami. In quest'opera, Senofonte mostra apertamente la sua simpatia per la città peloponnesiaca e si rammarica, però, che il crescente individualismo e l'avidità di ricchezze ne compromettano l'antica grandezza e lo splendore del passato. È evidente che Senofonte cerca di imitare Tucidide, ma il suo intento rimane solamente intenzionale; infatti, Senofonte, essendo abituato ad osservare la realtà storica dall'esterno, non riesce a coglierne pienamente i meccanismi interni e le leggi. Il divario fra Tucidide e Senofonte diventa particolarmente evidente nei discorsi, che nell'opera senofontea, si limitano esclusivamente alle esortazioni, ai contrasti verbali e alla presentazione dei personaggi principali.
Altre opere senofontee che è importante menzionare sono: l'Agesilao, che è una biografia encomiastica di tipo sofistico o isocrateo, ed è stata criticata per il suo eccessivo moralismo e la sua idealizzazione; la Costituzione degli Spartani, un'analisi amministrativa delle leggi di Licurgo, dell'educazione dorica, delle attività pacifiche e belliche dello stato spartano; quest'operetta presenta diverse analogie con la Ciropedia e la sua tematica di fondo è costituita dall'elogio della paideia spartana basata sull'ordine, sulla disciplina e sull'obiettivo di formare dei cittadini-guerrieri forti, coraggiosi, valorosi, pii e dediti al servizio dello stato. Sparta è considerata da Senofonte come la polis in cui si è realizzato lo stesso ideale monarchico del quale Ciro è portatore e il suo declino, così come quello della Persia, deve essere attribuito alla perdita delle antiche virtù; Ierone, un dialogo immaginario fra il sovrano siracusano e il poeta Simonide, durante il quale vengono messi in evidenza e denunciati i mali psicologici della monarchia assoluta sono invece esaltati i pregi tipici della tirannide “illuminata”. L'argomento focale del dibattito fra Simonide e Ierone riguarda la figura del tiranno e i suoi delitti, le sue paure, la sua solitudine, le sua inimicizie, ma in quest'opera, si evidenzia anche la possibilità di ribaltare tale condizione negativa: se il tiranno mettesse la sua potenza e il suo prestigio al servizio della comunità, la sua posizione privilegiata gli consentirebbe di diventare presto l'idolo di tutti i cittadini. L'ideale di monarca delineato nello Ierone trova una concreta realizzazione nell'Agesilao.
Senofonte ha composto anche opere che vengono definite “socratiche”, in quanto il loro contenuto ruota intorno alla figura di Socrate. Queste opere sono: l'Apologia, che pur essendo insignificante rispetto all'omonima operetta platonica, contiene una tematica fondamentale: la fierezza di Socrate davanti ai giudici deriva dalla sua grande onestà che lo porta perfino ad amare la morte; il Simposio, un'opera che riprendendo il titolo dall'omonimo dialogo platonico, è incentrata su una disputa basata sul tema dell'eros, scaturito dall'invito ad un banchetto organizzato da Callia in onore del bellissimo Autolico. Il protagonista di questa operetta è Socrate, i cui discorsi appaiono dispersi e piuttosto svagati. Nel Simposio, compaiono anche alcuni elementi mimici, come quello rappresentato dall'intervento di alcuni artisti guidati da un siracusano.
Nell'operetta intitolata Ippica, viene evocato il palpito del cavallo mentre si protende e si impenna; nell'Ipparchico, invece, Senofonte elargisce a un ipparco, alcuni consigli a carattere militare; il Cinegetico è caratterizzato da molte tracce di manipolazioni e presenta alcuni divari stilistici rispetto alle altre opere senofontee. L'importanza di queste operette va oltre la precettistica tecnica che esse contengono; infatti, queste tre opere rappresentano lo status symbol dell'aristocrazia e uno dei mezzi privilegiati per contribuire alla formazione dell'uomo kalòs kài agathòs, ossia “bello e buono”.
I Memorabili sono quasi sicuramente giunti fino a noi con molte contaminazioni; il titolo dell'opera risulta improprio, in quanto la traduzione italiana letterale dovrebbe essere “Taccuini”. In quest'opera, Socrate discute con molti uomini, fra cui hanno particolare rilievo i comandanti di truppe, e passa in rassegna varie virtù individuali, familiari e sociali. Socrate è presentato come il modello perfetto di integrità morale, intesa soprattutto come temperanza, e di pietà religiosa, evidenziata specialmente quando egli si riabilita dalle accuse di corruzione rivoltegli da alcuni giovani durante il processo. Nell'opera, vengono completamente trascurati gli aspetti gnoseologici, dialettici e metafisici dell'ideologia socratica, e l'etica è ridotta essenzialmente a una precettistica utilitaria. Due passi particolarmente significativi dei Memorabili sono il famoso apologo di Prodico, e la pagina in cui Socrate rivendica, contro il malumore del figlio Lamprocle, la dignità della madre, Santippe, sottolineando gli eterni valori della maternità.
Un'opera senofontea di grande rilievo sia per le suggestioni politiche aperte verso il futuro, sia per l'utilizzo di nuove forme letterarie, è la Ciropedia, ossia “l'educazione di Ciro”. Questo titolo può sembrare inadeguato, in quanto la tematica riguardante l'educazione del satrapo persiano si esaurisce nei primi capitoli, mentre i capitoli successivi raccontano tutta la vita di Ciro. Leggendo quest'opera, ci si stupisce per il fatto che Senofonte, pur essendo un cittadino ateniese, tuttavia abbia proposto come modello politico la figura di un monarca; Senofonte aveva già iniziato ad abbozzare il suo ideale di principe in due precedenti operette a carattere encomiastico: Ierone e Agesilao. Il fatto che Senofonte abbia tanto esaltato la figura del monarca può essere spiegato pensando che probabilmente l'autore, rimasto notevolmente affascinato dall'avventura giovanile vissuta in Oriente, sia giunto a vagheggiare una forma di governo alternativa ispirandosi all'antica Persia e a presentare il sovrano persiano Ciro, come il prototipo del monarca ideale e perfetto. Il fondatore dell'Impero persiano viene presentato, fin dall'inizio dell'opera, con un'immagine diventata poi un luogo comune, come il modello del monarca perfetto, come un “pastore” che tutti i sudditi rispettano e seguono docilmente perché è saggio, onesto e buono. Nel corso della narrazione, il ritratto di Ciro diventa più preciso; egli appare, oltre che un “principe illuminato”, un condottiero intelligente e valoroso, un esperto cavaliere e cacciatore, pio nei confronti degli dèi, onesto, buono, generoso e dotato di grandi virtù, come la benevolenza, la giustizia e la moderazione. Nella figura di Ciro, che risulta idealizzata, si riuniscono sia le tradizionali virtù spartane che i nuovi valori socratici; inoltre, Ciro non disdegna, secondo l'usanza orientale, di circondarsi di eunuchi, di vestirsi in maniera sfarzosa e di dipingersi il viso. Da queste elementi, è dunque possibile desumere che nella personalità di Ciro si riscontravano sia elementi tipicamente greci che elementi tipicamente orientali; per questo motivo, Ciro può essere ritenuto un sovrano “metà greco e metà orientale”; il modello del monarca “metà greco e metà orientale”, che ebbe una notevole fortuna durante l'epoca di Alessandro Magno, ha avuto origine proprio con Ciro. Quest'ultimo viene presentato da Senofonte, come un sovrano dotato di grandi capacità; alle precoci manifestazioni di intelligenza e di furbizia, segue la fase di un'adolescenza moderata e coraggiosa, che culmina con la sua consapevolezza di poter diventare un importante sovrano. La vera e propria institutio Cyri si esaurisce nel primo libro e nei libri successivi vengono narrate dettagliatamente le imprese del sovrano ed è descritto l'ordinamento rigorosamente gerarchico della classe dominante. La figura di Ciro risulta piuttosto utopistica e letteraria perché rappresenta l'immagine tipica del monarca ideale. Oltre alla preminenza della figura di Ciro, nell'opera sono presenti anche l'elemento erotico e l'eroismo, riuniti entrambi nel personaggio patetico di Pantea. Quest'ultima è una donna assira che viene affidata ad Araspa, il quale si dichiara innamorato di lei; Pantea, però, pur essendo consapevole della sua bellezza, non cede al corteggiamento di Araspa e rimane fedele al marito Abradata, esortandolo a dimostrare il suo valore in battaglia; dopo la morte del marito, ucciso dai nemici, Pantea si uccide sul cadavere del suo amato. Questo episodio introduce nella Ciropedia, la tematica amorosa, unita a quella morale.
La Ciropedia ha ottenuto una grande fortuna anche per la novità delle forme letterarie utilizzate. Infatti, la Ciropedia può sembrare un'opera storica, ma alcuni studiosi hanno notato che in questo scritto, sono narrate imprese che Ciro non ha mai realmente compiuto, come la campagna militare in Egitto; inoltre, è stato riscontrato in alcuni passi dell'opera, che il sovrano si comporta in modo diverso rispetto a quello documentato da altre fonti storiche, come avviene durante la conquista di Babilonia. Fin dalle prime pagine, si capisce subito che lo scopo dell'opera non è né quello di tramandare ai posteri il resoconto di una parte importante della storia persiana, né quello di narrare la biografia e le imprese del primo monarca del popolo persiano; la Ciropedia, dunque, può essere considerata un'opera pedagogica, in quanto l'intento educativo appare sempre presente, pur non assumendo mai l'aspetto di una trattazione scientifica e rigorosa. Come accade nell'Anabasi, anche nella Ciropedia prevale il gusto della narrazione, che, differentemente da ciò che avviene nell' Anabasi, si mescola al gusto dell'invenzione e della creazione fantastica. La Ciropedia, quindi, potrebbe essere considerata come un romanzo storico-pedagogico, in quanto molti elementi storici vengono adoperati in un contesto che non è affatto storico, e su uno sfondo storico sono utilizzati elementi fantastici; queste “deformazioni” della realtà obbediscono ad alcune esigenze di carattere educativo che lo scrittore si è proposto durante la stesura della sua opera, dando origine così, a un nuovo genere letterario che si sviluppò durante il periodo alessandrino e ottenne una grande fortuna narrando le imprese di Alessandro Magno.
L'Economico è l'opera “meno socratica” di Senofonte, in quanto contiene pochi riferimenti a Socrate. Si tratta di un dialogo riguardante la buona amministrazione della casa e precisamente della casa di campagna. In quest'opera, la figura di Socrate è presente, ma soltanto in maniera marginale; infatti, per giustificare la presenza di Socrate in un campo a lui estraneo, Senofonte immagina che egli riferisca una conversazione avuta con un giovane proprietario terriero, ma in realtà è lo stesso Senofonte che espone la sua esperienza personale, la sua ideologia conservatrice e il suo grande amore per la terra. Senofonte si immedesima nel personaggio immaginario di Isomaco, attraverso il quale elenca tutti i benefici dell'agricoltura, considerata come un'attività che genera ricchezza e prosperità. Secondo Senofonte, infatti, l'attività più conveniente e più bella per un libero cittadino è quella del lavoro dei campi, in quanto, pur trattandosi di un lavoro duro e faticoso, tuttavia può essere considerato come una fonte di sanità e di benessere. Senofonte sostiene che ogni lavoro che ogni lavoro ha i suoi ritmi e le sue leggi, pertanto, coloro che ne hanno rispetto dimostrano di possedere il valore dell'eticità. Queste concezioni sono molto simili a quelle di Esiodo, il quale elogiava il lavoro dei campi, ritenendolo dignitoso e moralmente sano. La concezione senofontea riguardante il lavoro in campagna, però, si differenzia da quella esiodea, in quanto, a differenza di Esiodo, Senofonte esalta la campagna polemizzando contro la città, la quale è considerata corrotta, turbolenta e caotica. Dalla tradizione esiodea si distacca, inoltre, il ritratto della donna, intesa come la padrona di casa. Quest'ultima è completamente diversa sia dalle donne emancipate che compaiono nelle tragedie euripidee, sia da quelle che trascorrono la loro vita in casa, dimenticate dai mariti. Il prototipo di donna descritta da Senofonte in quest'opera, ha un campo d'azione piuttosto ampio; infatti, alleva ed educa i figli, ha il compito di organizzare le varie mansioni ed occuparsi della casa, senza trascurare, però, la cura del proprio corpo e della propria bellezza; il suo ruolo non è quello di essere un semplice strumento di procreazione, ma una compagna di vita, di esperienze e di crescita interiore. L'elemento più interessante di quest'opera è proprio la rivalutazione della donna, che viene considerata quasi come la regina della casa e le viene attribuito il ruolo di attenta amministratrice dei beni familiari e di educatrice dei figli; l'immagine della moglie di Isomaco che adempie ai suoi compiti domestici, rappresenta il modello ideale di donna presente nella concezione senofontea.
Per quanto riguarda lo stile di Senofonte, molti critici lodano la sua chiarezza espressiva, anche se in molte opere, è possibile riscontrare diverse contraddizioni e incertezze. Egli è molto rispettoso delle antiche tradizioni etiche e culturali del suo popolo, ma è un apolitico. Il suo individualismo che lo spinge spesso a isolarsi nella pace delle sue tenute campestri, contrasta con il vagheggiamento di un regime autoritario come quello spartano; le simpatie per Sparta, favorite anche da interessi personali, si alternano a elogi e rimpianti della democrazia ateniese e ad avvicinamenti verso la patria contro cui talvolta adopera le armi. La sua devozione nei confronti di Socrate e la sua adesione all'insegnamento morale di quest'ultimo, non escludono la presenza di rilevanti diversità dal maestro, per quanto riguarda, ad esempio, la quiete campestre (a proposito di ciò, è importante precisare che Socrate non andò mai fuori dalla città e quindi, non visse mai a contatto con la campagna), la preparazione militare, la sollecitudine per gli addestramenti fisici e per la guerra. A Senofonte sfuggono completamente la drammaticità della vita, la gravità dei problemi interiori, il tormento degli stati d'animo. Egli può essere considerato il campione della mediocritas, in quanto, senza soffermarsi sulle sottili differenze che caratterizzano l'umanità, distingue gli uomini in buoni senza difetti e in cattivi senza rimedio. Questa sua visione del mondo si rispecchia anche nel suo stile; Senofonte adopera un linguaggio quotidiano, privo di immagini e di qualsiasi figura retorica; a volte è possibile notare, nelle sue opere, alcune espressioni tipicamente sofistiche. Senofonte, oltre al dialetto attico, adopera qualche vocabolo straniero o persiano.
APPROFONDIMENTI SU SENOFONTE
Le opere senofontee hanno ottenuto un enorme successo che ha continuato a perdurare attraverso i secoli
Il successo di Senofonte è stato ininterrotto attraverso i secoli e molti studiosi si sono chiesti i motivi di questa sua grande fortuna. Essi hanno affermato che non è un caso che ci siano pervenute tutte le opere senofontee, da quelle più complesse e impegnative agli scritti di scarso rilievo, nella loro integrità.
Secondo la maggior parte degli studiosi, il segreto di un successo così grande consiste nella fluidità e nella piacevolezza del racconto, nella molteplicità degli interessi, nell'indiscussa fiducia che ha nella vita e in un futuro migliore. Atene, Sparta e l'Impero persiano vengono descritte come grandi potenze che si stanno ormai estinguendo, ma dalla loro crisi si intravede un mondo completamente nuovo governato da un principe buono, onesto e giusto.
Inoltre, il successo di Senofonte è stato determinato anche dal suo inestinguibile ottimismo; egli afferma che la crisi della Grecia ha raggiunto l'apice con il tramonto dell'egemonia ateniese e spartana e con la morte di Socrate, ma nulla è andato definitivamente perduto, in quanto gli insegnamenti del maestro e i valori diffusi dagli antichi non sono stati dimenticati, ma continueranno a perdurare attraverso i secoli.
Senofonte mostra questo grande ottimismo nella sua concezione della storia e della vita, nel linguaggio e nello stile; la sua visione ottimistica è così evidente, che neppure le pagine più drammatiche e più tristi della sua opera possono essere considerate dei veri e propri drammi.
Ad esempio, quando Senofonte racconta la morte di Teramene, la narrazione di questo episodio procede in maniera incisiva e veloce, senza indugiare sui particolari raccapriccianti e smorzando con una battuta, la tensione della tragica fine del personaggio. Le opere senofontee hanno ottenuto un enorme successo che ha continuato a perdurare attraverso i secoli, soprattutto grazie al loro tono giornalistico, disteso, curioso e oggettivo, che ha determinato la grande fortuna di Senofonte.
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