~ William Shakespeare: Sonetti vari e stupendi
I sonetti di Shakespeare hanno una storia che merita di essere raccontata. Considero complessivamente I Sonetti come la più grande e incondizionata dichiarazione d’amore che mai sia stata fatta da una persona ad un’altra. I Sonetti sono i pensieri più belli e delicati che io abbia mai sentito rivolgere a qualcuno. Sono così belli che non vorrei parlarvene. Sono così intimi e passionali e viscerali che nessuno mai avrebbe dovuto dirne niente. E non sono solo i sonetti. Prendete una qualunque cosa scritta da Shakespeare e dentro ci troverete passaggi che vi lasceranno con lo sguardo fulminato. E più di una volta vi capiterà che mentre state ancora cercando di contenere quelle parole e quei concetti, lui affonderà la penna ancora di più fino a costringervi a fermarvi e tornare indietro con lo sguardo per assimilare poco per volta tutta quella bellezza.
I Sonetti sono interamente dedicati ad una persona. Tutta l’opera, un’opera così meravigliosa, è per una sola persona. Per intero, perché anche gli ultimi, quelli dopo il 126 dedicati ad una dark lady, sono riconducibili alla persona cui è dedicato il resto del canzoniere. Leggendo i sonetti di Shakespeare passerete con gli occhi su parole così musicali e dolci, che ne rimarrete esterrefatti: come può una poesia raggiungere tali vette? E naturalmente non sono solo le parole: sono i concetti, la leggerezza, la melodia dei sentimenti che Shakespeare è così bravo a suonare. In italiano è difficile rendere il genio di questo bardo universale, perciò la traduzione è importante, ma questo bisogna averlo sempre presente quando si leggono opere di autori in altre lingue.
I Sonetti vennero pubblicati per la prima volta nel 1609, da un editore abbastanza noto: Thomas Thorpe. Thorpe aveva al suo attivo la pubblicazione di drammi importanti, in particolare di Ben Jonson e di Chapman. Aveva dato alle stampe I Sonetti mettendo in tutta evidenza sul frontespizio che non erano mai stati pubblicati prima: ‘Never before imprinted’. L’editore confidava nella fama ormai affermata di Shakespeare, ritenendo che ci fosse una grande attesa intorno alla pubblicazione dell’opera, che fino ad allora era rimasta nota solo ad alcuni privilegiati. Shakespeare non aveva preso posizione ufficialmente sulla pubblicazione dei Sonetti: era sua abitudine lasciar fare agli editori. Verosimilmente, Thorpe pensò di testa sua a tutto. Anche a dedicare quell’opera a chi, in passato, ne era stato il principale ispiratore. Si tratta della dedica più enigmatica di tutta la letteratura inglese:
These. Insuing. Sonnets.
Mr. W. H. All. Happinesse.
That. Eternitie.
Promised.
By.
Our. Ever-Living. Poet.
Wisheth.
The. Well-Wishing.
Adventurer. In.
Setting.
Forth.
Trenta parole, scandite dalla ossessiva intrusione del punto fermo, che hanno suscitato nei secoli una vera e propria valanga di interpretazioni e supposizioni. Una loro possibile traduzione è questa: ‘All’unico ispiratore di questi sonetti che qui seguono, Mr. W.H., ogni felicità e quella eternità promessa dal nostro immortale poeta augura colui che con buon augurio si avventura nel pubblicare.’
Il fatto che il destinatario dei Sonetti fosse stato indicato con delle iniziali e non con il suo nome per intero, sta ad indicare che l’identificazione di quella persona costituiva per l’editore un punto molto scottante. Le attribuzioni proposte nei secoli dalla critica sono state molte, ma la più probabile resta quella che identifica W.H. nella persona di William Herbert, terzo conte di Pembroke, nato nel 1580.
Colpo di scena.
Per chi ancora non lo sapesse (ma la polemica è stata sempre così infuocata, che è impossibile non saperlo) Shakespeare era bisessuale, e sì, i sonetti sono dedicati ad un uomo (almeno quelli fino al 126, e cioè tutti quelli d’amore). William Herbert.
Un biografo di Shakespeare descrive tra l’altro Herbert come "sensibile al fascino femminile, pur se alquanto restìo all’idea di sposarsi". La sua irrequietezza sentimentale lo spinse a diventare l’amante di Mary Fitton, una delle damigelle d’onore della regina, e candidata da diversi critici come la persona cui sono dedicati i sonetti che vanno dal 127 al 152. Fu anche, come tanti nobili del tempo, un mecenate, e dovette avere un rapporto abbastanza stretto con Shakespeare.
Tuttavia, l’anomalia dell’opera non si esaurisce nella dedica e nell’identificazione del destinatario dei Sonetti, ma investe anche lo scarso risultato di vendite alla sua prima uscita: il volume non ebbe nessuna ristampa e di quella edizione del 1609 a noi sono pervenute solo tredici copie in tutto.
Sfinito dalla fatica, mi affretto al mio letto,
il caro riposo per le membra stanche del viaggio;
ma allora un altro viaggio mi comincia nella testa,
e lavora la mia mente, quando è finito il lavoro del corpo.
Allora i miei pensieri, di là lontano dove mi trovo,
verso di te fanno un devoto pellegrinaggio,
e tengono spalancate le mie palpebre pesanti,
a guardare la tenebra che vedono i ciechi.
Senonché la vista immaginaria della mia anima,
presenta al mio sguardo cieco la tua ombra,
che, come un gioiello appeso alla notte spettrale,
fa la nera notte bella e il suo vecchio volto nuovo.
Così di giorno le mie membra, di notte la mia mente,
per causa tua, e mia, non trovano quiete.
SONNET XXVII
Weary with toil, I haste me to my bed,
The dear repose for limbs with travel tired;
But then begins a journey in my head
To work my mind, when body's work's expired:
For then my thoughts – from far where I abide –
Intend a zealous pilgrimage to thee,
And keep my drooping eyelids open wide,
Looking on darkness which the blind do see:
Save that my soul's imaginary sight
Presents thy shadow to my sightless view,
Which, like a jewel hung in ghastly night,
Makes black night beauteous, and her old face new.
Lo! thus, by day my limbs, by night my mind,
For thee, and for myself, no quiet find.
SONETTO XXXV
Non essere piú preso da pena per quello che hai fatto:
Hanno spine le rose, e fango, l'argentea sorgente:
Le nuvole e le eclissi intorbidano luna e sole,
Il cancro ripugnante vive nel bocciuolo piú tenero.
È umano commettere errori, ne commetto uno io stesso
Quando mi provo a discolparti facendo paragoni,
Corrompendo me stesso per porgere unguento al tuo male,
Scusando i tuoi peccati piú di quanto non converrebbe;
Poiché un senso vado trovando ai tuoi falli sensuali,
- Diventa tuo avvocato chi dovrebbe invece accusarti, -
Intento in piena regola una causa contro di me:
Tale guerra civile tra il mio amore e la mia rabbia infuria,
Che non posso non diventare complice necessario
Di quel dolce ladrone che acerbamente mi depreda.
SONNET XXXV
No more be griev'd at that which thou hast done:
Roses have thorns, and silver fountains mud:
Clouds and eclipses stain both moon and sun,
And loathsome canker lives in sweetest bud.
All men make faults, and even I in this,
Authorizing thy trespass with compare,
Myself corrupting, salving thy amiss,
Excusing thy sins more than thy sins are;
For to thy sensual fault I bring in sense, -
Thy adverse party is thy advocate, -
And 'gainst myself a lawful plea commence:
Such civil war is in my love and hate,
That I an accessary needs must be,
To that sweet thief which sourly robs from me.
SONETTO LXVI (versione 1)
Morte sarebbe molto meno amara
del povero destino di chi vale,
della trionfante nullità somara,
dello spergiuro usato a chi è leale,
di tanta simonìa, tanta vergogna,
del mercimonio di persone pure,
dell’ideale in mano alla carogna,
del genio imbavagliato da censure,
del forte che ha ceduto a corruzione,
del vero ch’è spacciato per banale,
della follia maestra d’ogni azione,
del bene schiavo d’un perverso male.
Morte sarebbe molto meno ingrata –
ma lascerebbe sola la mia amata.
SONETTO LXVI (versione 2)
Stanco di tutto questo, quiete mortale invoco,
Vedendo il Merito a mendicare nato,
E vuota Nullità gaiamente agghindata,
E pura Fede miseramente tradita,
Ed i più grandi Onori spartiti oscenamente,
E la casta Virtù fatta prostituta,
E retta Perfezione cadere in disgrazia,
E la Forza avvilita da un potere impotente,
E il Genio creativo per legge imbavagliato,
E Follia dottorale opprimere Saggezza,
E creduta Stupidità la Sincera Franchezza,
E il Bene, del Male condottiero, reso schiavo,
Stanco di tutto questo, da ciò vorrei poter fuggire,
Non fosse che, morendo, lascerei solo il mio amore.
SONNET LXVI
Tired with all these, for restful death I cry,
As, to behold desert a beggar born,
And needy nothing trimm'd in jollity,
And purest faith unhappilly forsworn,
And gilded honour shamefully misplac’d,
And maiden virtue rudely strumpeted
And right perfection wrongfully disgrac’d,
And strength by limping sway disabled,
And art made tongue-tied by authority,
And folly, doctor-like, controlling skill,
And simple truth miscall’d simplicity,
And captive good attending captain ill:
Tir’d with all these, from these would I be gone,
Save that, to die, I leave my love alone.
SONETTO CXVI
Non sarà che alle nozze di animi costanti
Io ammetta impedimenti, amore non è amore
Che muta quando scopre mutamenti,
O a separarsi inclina quando altri si separa.
Oh no, è un faro irremovibile
Che mira la tempesta e mai ne viene scosso;
Esso è la stella di ogni sperduta nave,
Remoto il suo valore, pur se il suo luogo noto.
Amore non soggiace al tempo, anche se labbra
E rosee guance cadranno sotto la sua arcuata falce.
Amore non muta in brevi ore e settimane,
Ma impavido resiste fino al giorno del Giudizio.
Se questo è errore, e sarà contro me provato,
allora io non ho mai scritto, e mai nessuno ha amato.
SONNET CXVI
Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O, no! it is an ever-fixed mark,
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth's unknown, although his height be taken.
Love's not Time's fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle's compass come;
Love alters not with his brief hours and weeks,
But bears it out even to the edge of doom.
If this be error and upon me proved,
I never writ, nor no man ever loved.
SONETTO CXXVIII
Spesso, se tu, mia musica, eseguendo
musica al legno tuo celeste, accordi
le tue dita leggere, se addolcendo
l’unisono inebriante delle corde,
i miei sensi confondi, al tuo strumento
io porto invidia, che agile si tende
a baciar le tue mani, e luce ed onta
a quel suo ardire sul mio labbro infonde.
Così ti disfiorassi, trasmutando
in cembalo danzante, il fuggitivo
gioco delle tue dita dispensando
gioia più a un legno che a due labbra vive.
Felice e impertinente, lui pur s’abbia
a baciar le tue mani, io le tue labbra.
SONNET CXXVIII
How oft when thou, my music, music play'st,
Upon that blessed wood whose motion sounds
With thy sweet fingers when thou gently sway'st
The wiry concord that mine ear confounds,
Do I envy those jacks that nimble leap,
To kiss the tender inward of thy hand,
Whilst my poor lips which should that harvest reap,
At the wood's boldness by thee blushing stand!
To be so tickled, they would change their state
And situation with those dancing chips,
O'er whom thy fingers walk with gentle gait,
Making dead wood more bless'd than living lips.
Since saucy jacks so happy are in this,
Give them thy fingers, me thy lips to kiss.
...non ho trovato una traduzione italiana di questo sonetto, né intendo io cimentarmi a tradurlo e quindi rovinarlo: lo riporto quindi nel solo bellissimo originale... [chi avesse disponibile una buona traduzione è pregato di copiarmela qui sotto nei commenti, ed io la pubblicherò subito!] --- I versi parlano d'amore naturalmente, e dell'ingiurioso passare del Tempo, crudele coltello della bellezza:
SONNET 63
Against my love shall be as I am now
With Time's injurious hand crushed and o'erworn,
When hours have drained his blood and filled his brow
With lines and wrinkles, when his youthful morn
Hath travelled on to age's steepy night,
And all those beauties whereof now he's king
Are vanishing, or vanished out of sight,
Stealing away the treasure of his spring:
For such a time do I now fortify
Against confounding age's cruel knife,
That he shall never cut from memory
My sweet love's beauty, though my lover's life.
His beauty shall in these black lines be seen,
And they shall live, and he in them still green.
Etichette: amore, poesia, Shakespeare, traduzione
~ Ho trovato questa traduzione - peraltro molto libera, ma in rima - sull'interessante sito multilingue http://www.polyhymnion.org
--- La riporto qui appresso:
SONETTO LXIII
E se, come son io, sarà l’amata
logora e guasta dal tempo mannaro,
la bella fronte riarsa e deturpata
di mille rughe, se il suo giorno chiaro
conoscerà il crepuscolo senile,
se la bellezza che le fa stendardo
involerà i tesori del suo aprile,
languida infine, persa ad ogni sguardo –
contro quel tempo edifico il bastione
trionfatore dell’età che strugge,
perché perpetua sia l’evocazione
della bellezza, quando vita fugge.
Questo tesoro affido – in nero – ai fogli,
che n’abbia sempre nuovi i suoi germogli.
SONETTO 63
Per quando il mio amore sarà come or son'io,
offeso e logorato dall'atrocità del tempo;
quando le ore svuotate avran le vene sue e riempito la sua fronte
con rughe e grinze; quando il suo giovane mattino
sarà giunto all'erta notte dell'età,
e tutte le bellezze di cui oggi è sovrano
andranno dileguandosi o saranno ormai svanite,
portandosi via il tesoro della sua primavera:
per quel terribile momento io mi erigo ora a difesa
contro la crudele lama della distruggente età,
affinché mai recida dalla memoria
la bellezza del mio caro amore, pur se dovrà morire:
il suo splendore trasparirà da queste linee nere,
esse vivranno, ed egli in esse eternamente verde.
....e brava Francsca!
Mi si e' sbattuto sullo schermo, mentre scrivevo altre cose, questo tuo commento, o meglio, bella traduzione del sonetto... e mi ha ribollito tutto con la passione shakespeariana, che da un po' s'era assopita. Grazie!
E' mai possibile che solo questo misterioso uomo (non sempre ben identificato) sia riuscito a dare all'Amore queste parole splendide?
O ce ne sono altri...? Mah. Io qui c'ho provato a raccoglierne alcuni, di leggiadri poeti, ma le vette celesti di Will ancora non le ha raggiunte nessuno.
SONETTO 63 SHAKESPEARE
Per quando il mio amor sarà come or son io,
offeso e logorato dall'atrocità del tempo;
quando l'ore le sue vene avran svotato e la sua fronte
sarà rughe e grinze;quando il suo giovane mattino
sarà giunto all'erta notte della vecchia età,
e tutte le bellezze delle quali oggi è sovrano
andranno dileguandosi o saranno ormai svanite,
portandosi via il tesoro della mia primavera:
per quel terribile momento devo erigermi a difesa
contro la crudele lama della distruggente età,
perchè non possa mai recidere da memoria
la bellezza del mio caro amore pur se dovrà morire:
il suo splendore trasparirà da queste linee nere,
esse vivranno,ed egli in esse,eternamente verde.
SONETTO 63 SHAKESPEARE
Per quando il mio amor sarà come or son io,
offeso e logorato dall'atrocità del tempo;
quando l'ore le sue vene avran svotato e la sua fronte
sarà rughe e grinze;quando il suo giovane mattino
sarà giunto all'erta notte della vecchia età,
e tutte le bellezze delle quali oggi è sovrano
andranno dileguandosi o saranno ormai svanite,
portandosi via il tesoro della mia primavera:
per quel terribile momento devo erigermi a difesa
contro la crudele lama della distruggente età,
perchè non possa mai recidere da memoria
la bellezza del mio caro amore pur se dovrà morire:
il suo splendore trasparirà da queste linee nere,
esse vivranno,ed egli in esse,eternamente verde.
glicine, hai postato una stupenda traduzione di un sonetto straordinario: più bello non potrebbe essere, ma anche così malinconico e...la crudela lama della distruggente età mi sta lentamente penetrando nel cuore.
Che fare? Mah.
LEGGO SOLO DOPO 10 MESI...
CHE MALINCONIA IL PASSAR DEL TEMPO...