~ Alcune poesie di Giuseppe Ungaretti

ETERNO
Tra un fiore colto e l'altro donato
l'inesprimibile nulla
~ Ungaretti, L’Allegria


Sfaccettature Ungarettiane


Grande poeta italiano, padre dell'ermetismo, Giuseppe Ungaretti nacque l'8 febbraio 1888 ad Alessandria d'Egitto e morí a Milano la notte tra l'1 e il 2 giugno 1970. Di origini ebraiche, si avvicinò al cattolicesimo, ma senza abbracciarlo per non abbandonare i correligionari nel momento del pericolo nazista. Elaborò l'intuizionismo. Punto di partenza è il problema del tempo, che nella realtà esterna è una successione di istanti in ordine preciso e determinato, mentre nella realtà interiore della coscienza è un processo fluido, non riconducibile all'istante, perciò la vita psicologica è durata reale perché gli stati di coscienza successivi si fondono, dopo senza che ci sia separazione tra presente e passato. Perciò ogni sentimento racchiude l'intera anima, che è libera.

INTERPRETANDO UNGARETTI NEL SILENZIO

Ogni interpretazione è, per sua natura, necessariamente limitata, e destinata a fallire proprio lì dove, leggittimamente, la poesia ambisce, e deve ambire, a riuscire: nell'evocare la totalità, nell'essere una rappresentazione della totalità. Ogni interpretazione è, nel momento stesso in cui si costituisce come tale, limitata, parziale. Premesso questo, credo si possa dire che questa poesia significhi, tra le altre cose, che i gesti hanno un significato che non può compiutamente essere espresso a parole. Ma probabilmente significa anche altro, e forse significa molto di più che questo.

Se il linguaggio non può circoscrivere esattamente il significato di un gesto, tuttavia la poesia, che proprio del linguaggio si serve - nè può servirsi di altro - parla proprio di un gesto. Il Nulla non può essere espresso, come dice il verso in calce, eppure questa poesia parla proprio del Nulla. Non ci sono parole per dire il silenzio, ma questa poesia è del silenzio che parla.

La poesia, che attraverso il proprio strumento pare oltrepassare i limiti dello strumento stesso, deve fare ciò pur sempre secondo i meccanismi che lo regolano.
Se questa considerazione può sembrare limitare la valenza universale della poesia, facendone una semplice estensione del linguaggio, in realtà credo che per questa via le si restituisca il proprio posto: la poesia porta alle estreme conseguenze il linguaggio stesso, spingendosi, per dir così, oltre di esso.


POESIA

I Giorni e le Notti
suonano
in questi miei nervi d'arpa

Vivo
di questa gioia malata
d'universo
e soffro
per non saperla accendere
nelle mie parole

(Poesie Disperse)


Anche qui Ungaretti, affermando di non saper dire qualche cosa, dice qualcos'altro. Il fluire incessante delle cose fugge via nel momento stesso in cui lo si vuole fissare. Qui non c'è possesso, ciò che si vorrebbe toccare sfuma nel momento stesso in cui si cerca di afferrarlo. Non c'è possesso, dunque: c'è tensione. La Poesia non stringe nulla, si protende fino allo spasimo e può solo sfiorare l'oggetto agognato, può solo sfiorare qualcosa che è inaccessibile. Pure lo sfiora. Dire quel fluire, quel fluire fatto di tempo e materia, non c'è parola che possa. Tra uomo e natura, tra verità e parola pare qui sussistere una frattura, un abisso incolmabile.

Gioia malata d'universo: è così che Ungaretti vuole chiamare la poesia, o meglio quella tensione spasmodica di ogni fibra che ne è alla genesi, che ne è la molla. E' malata perchè condannata da principio a non poter mai stringere il proprio oggetto. E' malata perchè nasce dalla privazione. E c'è da credere che se quela "gioia malata d'universo" Ungaretti sentiva di non saper esprimere, ciò fosse dovuto assai poco ai suoi limiti personali di poeta, quanto piuttosto a una impossibilità oggettiva, ossia connaturata all'ogetto. Pure, tale tensione è poesia.

E, se nei versi più tardi quella fiducia quasi incondizionata nella parola risulta ridimensionata ("Ho popolato di nomi il silenzio/Ho fatto a pezzi cuore e mente/ Per cadere in schiavitù di parole?/Regno sopra fantasmi/..." - in: Poesie Disperse), ciò non toglie nulla al fatto che quella fiducia, quella tensione è alla genesi dell'atto creativo. E' anche vero però che quella sfiducia di poi va presa molto sul serio, permette forse di collocare tutta una poetica nei suoi giusti limiti. Assoluti? In più di un saggio Ungaretti ha osservato come, dal Petrarca in poi, si sia verificato un mutamento sostanziale nella coscienza poetica: si tratta dell'acquisita consapevolezza che l'infinito è dentro l'uomo, non fuori. Allora è al fondo di noi stessi che sta la parola, il poeta, per trovarla, è dentro di se che deve immergersi (IL PORTO SEPOLTO//"Vi arriva il poeta/e poi torna alla luce con i suoi canti/e li disperde//Di questa poesia/mi resta/quel nulla/d'inesauribile segreto") Ciò che trova è parola poetica, spogliata di tutto, potremmo dire parola dell'inconscio, senza forzare troppo le cose. In questo silenzio totale, smisurato, la parola poetica si trova immersa. La frattura che divide l'uomo dalla natura, allora, non è altro che la frattura che divide l'uomo da se stesso.

Il fatto che Ungaretti sia poeta così essenziale, così assoluto, ha fatto talvolta sottovalutare il suo esplicito richiamarsi alle esperienze del simbolismo francese, da una parte, della grande poesia introspettiva, da Petrarca a Leopardi, dall'altra. Infine, il suo richiamarsi al Nietzsche aforismatico, compendiato dalla metafora del palombaro. Nel caso del simbolismo e di Nietzsche, il tratto comune può forse essere rintracciato nel fatto che la parola era trovata, paradossalmente, attraverso e dopo uno sgretolamento di tutti i luoghi comuni, cioè una frammentazione, una decomposizione, una destrutturazione, in definitiva, del linguaggio stesso. Il nesso che unisce Ungaretti a quelle esperienze è essenziale. Solo annientando il linguaggio nasce la parola, e la poesia può spingersi oltre il linguaggio stesso. Essa, dove il linguaggio non può più nulla, oltrepassato il linguaggio, deve nuovamente risalire fino ad esso; spenta la parola, parola tornare ad essere. Parola dell'inconscio. Parola dell'inconscio, ma affiorata ora alla coscienza. Parola portata dal buio alla luce, rapita al buio e donata alla luce.

"Il mistero c'è, è in noi. Basta non dimenticarcene. Il mistero c'è, e, col mistero, di pari passo, la misura; ma non la misura del mistero, cosa umanamente insensata, ma di qualche cosa che in un certo senso al mistero s'opponga, pur essendone per noi la manifestazione più alta: questo mondo terreno considerato come continua invenzione dell'uomo (...)" ("Ragioni di una poesia", sta in: Ungaretti, vita d'un uomo - tutte le poesie Mondadori, Ed. I Meridiani, 1970).

E' tutto l'Ermetismo, è l'anello di congiunzione tra l'arte come autochiarificazione del poeta e l'arte come esperienza universale.



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12 SETTEMBRE 1966

Sei comparsa al portone
in un vestito rosso
per dirmi che sei fuoco
che consuma e riaccende.

Una spina mi ha punto
delle tue rose rosse
perché succhiassi al dito,
come già tuo, il mio sangue.

Percorremmo la strada
che lacera il rigoglio
della selvaggia altura,
ma già da molto tempo
sapevo che soffrendo con temeraria fede,
l'età per vincere non conta.

Era di lunedì,
per stringerci le mani
e parlare felici
non si trovò rifugio
che in un giardino triste
della città convulsa.

* * *

13 SETTEMBRE 1966

Le mani con un tremito
del telefono stringevano il filo;
mi aveva poco prima
recato la tua voce
che mi diceva addio.

Un vagante raggio ebbe la luce,
tenue filo dell'anima
del mio bacio donato
solo dal desiderio.

Ma dall'esilio ci libererà
l'ostinato mio amore.

* * *

HAI CHIUSO GLI OCCHI

Nasce una notte
piena di finte buche,
di suoni morti
come di sugheri
di reti calate nell'acqua.

Le tue mani si fanno come un soffio
d'inviolabili lontananze,
inafferrabili come le idee.

E l'equivoco della luna
e il dondolio, dolcissimi,
se vuoi posarmele sugli occhi,
toccano l'anima.

Sei la donna che passa
come una foglia.

E lasci agli alberi un fuoco d'autunno.


* * *

I ricordi, un inutile infinito,
Ma soli e uniti contro il mare, intatto
In mezzo a rantoli infiniti...

Il mare,
Voce d'una grandezza libera,
Ma innocenza nemica nei ricordi,
Rapido a cancellare le orme dolci
D'un pensiero fedele...

Il mare, le sue blandizie accidiose
Quanto feroci e quanto, quanto attese,
E nella loro agonia,
Presente sempre, rinnovata sempre,
Nel vigile pensiero l'agonia...

I ricordi,
Il riversarsi vano
di sabbia che si muove
Senza pesare sulla sabbia,
Echi brevi protratti,
Senza voci echi degli addii
A minuti che parvero felici...


* * *


ALLEGRIA DI NAUFRAGI

E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare.


* * *


AGONIA

Morire come le allodole assetate
sul miraggio
O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia
Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato.


* * *


NATALE

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.


* * *


NON GRIDATE PIÙ

Cessate d'uccidere i morti,
Non gridate più, non gridate
Se li volete ancora udire,
Se sperate di non perire.

Hanno l'impercettibile sussurro,
Non fanno più rumore
Del crescere dell'erba,
Lieta dove non passa l'uomo.


* * *


SENTIMENTO DEL TEMPO

E per la luce giusta,
Cadendo solo un'ombra viola
Sopra il giogo meno alto,
La lontananza aperta alla misura,
Ogni mio palpito, come usa il cuore,
Ma ora l'ascolto,
T'affretta, tempo, a pormi sulle labbra
Le tue labbra ultime.


* * *


DOVE LA LUCE

Come allodola ondosa
Nel vento lieto sui giovani prati,
Le braccia ti sanno leggera, vieni.
Ci scorderemo di quaggiù,
E del mare e del cielo,
E del mio sangue rapido alla guerra,
Di passi d'ombre memori
Entro rossori di mattine nuove.
Dove non muove foglia più la luce,
Sogni e crucci passati ad altre rive,
Dov'è posata sera,
Vieni ti porterò
Alle colline d'oro.
L'ora costante, liberi d'età,
Nel suo perduto nimbo
Sarà nostro lenzuolo.


* * *


IL SILENZIO

Conosco una città
che ogni giorno s'empie di sole
e tutto è rapito in quel momento

Me ne sono andato una sera

Nel cuore durava il limio
delle cicale

Dal bastimento
verniciato di bianco
ho visto
la mia città sparire
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell'aria torbida
sospesi.


* * *


A MIA MADRE

E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.


* * *


Inizio di sera
la vita si vuota
in diafana ascesa
di nuvole colme
trapunte di sole.



* * *


PRATO

La terra
s'è velata
di tenera
leggerezza
Come una sposa
novella
offre
allibita
alla sua creatura
il pudore
sorridente
di madre.


* * *


Stella, mia unica stella,
nella povertà della notte sola,
per me, solo, rifulgi,
nella mia solitudine rifulgi;
ma, per me, stella
che mai non finirai d'illuminare,
un tempo ti è concesso troppo breve,
mi elargisci una luce
che la disperazione in me
non fa che acuire.


* * *


L'uomo, monotono universo,
Crede allargarsi i beni
E dalle sue mani febbrili
Non escono senza fine che limiti.

Attaccato sul vuoto
Al suo filo di ragno,
Non teme e non seduce
Se non il proprio grido.

Ripara il logorio alzando tombe,
E per pensarti, Eterno,
Non ha che le bestemmie.


* * *


SONO UNA CREATURA

Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo.


* * *


SAN MARTINO DEL CARSO

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

É il mio cuore
il paese più straziato.


* * *


VEGLIA

Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita


* * *


~ che splendida questa! la metto alla fine, per concludere in bellezza...



SERENO
Bosco di Courton luglio 1918

Dopo tanta
nebbia
a una
a una
si svelano
le stelle

Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore del cielo

Mi riconosco
immagine
passeggera

Presa in un giro
immortale





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6 Commenti:

A 25/5/15 17:14, Blogger calogero commenta così...

Incredibile... sono stupito che per il grandissimo Poeta Ungaretti non ci sia un commento.
Paura di sbagliare? Io nella mia ignoranza voglio osare spinto dalla meraviglia per l'assenza di omaggi al Poeta che seppe, nella sua semplicità, trionfare al di sopra della marea poetica del povero '900. Ungaretti Giuseppe è ospite nei miei blog e ne sono fiero. Calogero Di Giuseppe Pioltello Maggio 2015. Anche gli ignoranti come me hanno il diritto di osare perché oltre alla Poesia sanno amare gli umili.

 
A 17/12/17 23:53, Blogger violet commenta così...

Unico, penetrante e sintetico.
Con poche parole esprimeva tanto!

 
A 18/12/17 16:19, Blogger daubmir commenta così...

@Calogero, sei grande!

 
A 18/12/17 16:26, Blogger daubmir commenta così...

@Violet, sono talmente d'accordo con te che ora me le rileggo tutte! Grazie.... E poi ne metto una su Facebook, tanto per gradire.

 
A 12/5/18 18:36, Blogger Marisol61 commenta così...

È come il brivido che corre nelle vene,e dopo ogni verso corro a cercare l'altro perché ogni vuoto sia riempito.
Per me è vestire il mio corpo lentamente fino ad assaporare il tepore ,un grande maestro.
Grazie.

 
A 12/5/18 20:21, Blogger daubmir commenta così...

@Marisol61 -- bel commento, bel brivido. Grazie!

 

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