~ Scelte da Vittorio Sereni
Vittorio Sereni nacque a Luino il 27 luglio 1913. Visse dapprima a Brescia, poi a Milano dove si laureò in letteratura italiana nel 1936 con una tesi su Guido Gozzano.
Durante gli anni dell’università frequentò un gruppo di giovani intellettuali che riconoscevano nella figura del filosofo Antonio Banfi la loro guida. Tra essi erano: Remo Cantoni, Enzo Paci, Antonia Pozzi, Luciano Anceschi, Raffaele De Grada, Daria Menicanti, Renato Guttuso.
Fu tra i fondatori della rivista Corrente nel ‘38, e collaborò a Campo di Marte e Frontespizio. Pubblicò Frontiera, il suo primo libro di poesie nel 1941.
Richiamato nell’esercito, venne mandato prima in Grecia, poi in Sicilia. Fatto prigioniero il 24 luglio 1943, passò due anni nei campi dell’Algeria e del Marocco. Da questa esperienza trasse materia ed ispirazione per il suo secondo libro di versi, pubblicato nel 1947 con il titolo Diario d’Algeria.
Dopo la guerra, lavorò come insegnante, collaborando anche a Milano Sera come critico letterario. Nel 1952 entrò nella Pirelli, e pochi anni dopo passò come direttore letterario alla casa editrice Mondadori, con la quale collaborò fino alla morte, avvenuta il 10 febbraio 1983. Nel 1965 aveva pubblicato Gli strumenti umani, e nel 1981 l’ultima raccolta intitolata Stella variabile.
Partito dall’esperienza ermetica, Sereni resta legato ad una poesia fortemente lirica, in cui esprime la condizione di precarietà dell’uomo moderno, privo di certezze e punti di riferimento sicuri. Vittorio Sereni è riconosciuto capostipite della corrente di poeti che si richiama alla Linea Lombarda, prendendo il nome da un' antologia di poesie pubblicata da Luciano Anceschi nel 1952 presso l’editore varesino Magenta. Di essa fanno parte anche opere di Roberto Rebora, Giorgio Orelli, Nelo Risi, Renzo Modesti, Luciano Erba. Questo gruppo si proponeva di ritrovare […] certi fili interrotti o celati, ricostruire legami perduti (L. Anceschi in Linea Lombarda, p.7), cercando di recuperare il rapporto tra poesia e realtà, reimpossessandosi della realtà storica, senza trascurare la lezione della poesia ermetica.
Da: Diario d'Algeria
NON SA PIÙ NULLA, È ALTO SULLE ALI
Non sa più nulla, è alto sulle ali
il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna.
Per questo qualcuno stanotte
mi toccava la spalla mormorando
di pregar per l'Europa
mentre la Nuova Armada
si presentava alle coste di Francia.
Ho risposto nel sonno: - E' il vento,
il vento che fa musiche bizzarre.
Ma se tu fossi davvero
il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna
prega tu se lo puoi, io sono morto
alla guerra e alla pace.
Questa è la musica ora:
delle tende che sbattono sui pali.
Non è musica d'angeli, è la mia
sola musica e mi basta. -
* * *
AHIMÈ COME RITORNA
Ahimè come ritorna
sulla frondosa a mezzo luglio
collina d'Algeria
di te nell'alta erba riversa
non ingenua la voce
e nemmeno perversa
che l'afa lamenta
e la bocca feroce
ma rauca un poco e tenera soltanto...
* * *
LE SEI DEL MATTINO
Tutto, si sa, la morte dissigilla.
E infatti, tornavo,
malchiusa era la porta
appena accostato il battente.
E spento infatti ero da poco,
disfatto in poche ore.
Ma quello vidi che certo
non vedono i defunti:
la casa visitata dalla mia fresca morte,
solo un poco smarrita
calda ancora di me che più non ero,
spezzata la sbarra
inane il chiavistello
e grande un'aria e popolosa attorno
a me piccino nella morte,
i corsi l'uno dopo l'altro desti
di Milano dentro tutto quel vento.
* * *
LA SPIAGGIA
Sono andati via tutti -
blaterava la voce dentro il ricevitore.
E poi, saputa, - Non torneranno più -.
Ma oggi
su questo tratto di spiaggia mai prima visitato
quelle toppe solari... Segnali
di loro che partiti non erano affatto?
E zitti quelli al tuo voltarti, come niente fosse.
I morti non è quel che di giorno
in giorno va sprecato, ma quelle
toppe d'inesistenza, calce o cenere
pronte a farsi movimento e luce.
Non dubitare, - m'investe della sua forza il mare -
parleranno.
* * *
IL GRANDE AMICO
Un grande amico che sorga alto su me
E tutto porti me nella sua luce,
che largo rida ove io sorrida appena
e forte ami ove io accenni a invaghirmi...
Ma volano gli anni, e solo calmo è l’occhio che antivede
perdente al suo riapparire
lo scafo che passava primo al ponte.
Conosce i messaggeri della sorte,
può chiamarli per nome. E’ il soldato presago.
Non pareva il mattino nato ad altro?
E l’ala dei tigli
e l’erta che improvvisa in verde ombrìa si smarriva
non portavano ad altro?
Ma in terra di colpo nemica al punto atteso
si arroventa la quota.
Come lo scolaro attardato
- né più dalla minaccia della porta
sbarrata fiori e ali lo divagano –
io lo seguo, sono nella sua ombra.
Un disincantato soldato.
Uno spaurito scolaro
* * *
APPUNTAMENTO A ORA INSOLITA
La città-mi dico- dove l’ombra
quasi più deliziosa è della luce
come sfavilla tutta nuova al mattino...
“...asciuga il temporale di stanotte” – ride
la mia gioia tornata accanto a me
dopo un breve distacco.
“Asciuga al sole le sue contraddizioni”
- torvo, già sul punto di cedere, ribatto.
Ma la forma l’immagine il sembiante
-d’angelo avrei detto in altri tempi-
risorto accanto a me nella vetrina:
“caro- mi dileggia apertamente- caro,
con quella faccia di vacanza. E pensi
alla città socialista ?”.
Ha vinto. E già mi sciolgo: “Non
arriverò a vederla” le rispondo.
(Non saremo
più insieme dovrei dire.) “Ma è giusto,
fai bene a non badarmi se dico queste cose,
se le dico per odio di qualcuno
o rabbia per qualcosa. Ma credi all’altra
cosa che si fa strada in me di tanto in tanto
che in sé le altre include e le fa splendide,
rara come questa mattina di settembre…..
giusto di te fra me e me parlavo:
della gioia.”
Mi prende sottobraccio.
“Non è vero che è rara, - mi correggo- c’è,
la si porta come una ferita
per le strade abbaglianti. E’
quest’ora di settembre in me repressa
per tutto un anno, è la volpe rubata che il ragazzo
celava sotto i panni e il fianco gli straziava,
un’arma che si reca con abuso, fuori
dal breve sogno di una vacanza.
Potrei
con questa uccidere, con la sola gioia….”
Ma dove sei, dove ti sei mai persa ?
“E’ a questo che penso se qualcuno
mi parla di rivoluzione”
dico alla vetrina ritornata deserta.
* * *
Da Gli strumenti umani
ANNI DOPO
La splendida la delirante pioggia s'è quietata,
con le rade ci bacia ultime stille.
Ritornati all'aperto
amore m'è accanto e amicizia.
E quello, che fino a poco fa quasi implorava,
dall'abbuiato portico brusìo
romba alle spalle ora, rompe dal mio passato:
volti non mutati saranno, risaputi,
di vecchia aria in essi oggi rappresa.
Anche i nostri, fra quelli, di una volta?
Dunque ti prego non voltarti amore
e tu resta e difendici amicizia.
* * *
QUEI BAMBINI CHE GIOCANO
un giorno perdoneranno
se presto ci togliamo di mezzo.
Perdoneranno. Un giorno.
Ma la distorsione del tempo
il corso della vita deviato su false piste
l'emorragia dei giorni
dal varco del corrotto intendimento:
questo no, non lo perdoneranno.
Non si perdona a una donna un amore bugiardo,
l'ameno paesaggio d'acque e foglie
che si squarcia svelando
radici putrefatte, melma nera.
"D'amore non esistono peccati,
s'infuriava un poeta ai tardi anni,
esistono soltanto peccati contro l'amore".
E questi no, non li perdoneranno.
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